Vajkard is an international workshop of art and design held en plein air in Rakov Å kocjan. It was established in 2008 by Martin PetriÄ and his mentor Zdravko PapiÄ. The event is considered to be one of the biggest inter-cultural projects in the Notranjska region. The results of the process are exhibited in Snežnik Castle Museum.
The Future of Coexistence is the theme of the workshop that is going to take place from 23 July through 3 August 2012.
Mission
The mission of the workshop is to make a traditional meeting of people of various ages and from all over the world. The workshop has already been visited by artists from Slovenia, Italy, Hungary, Croatia, Romania, Belgium, Finland, France. The main goal is to bring together professionals and students from different fields of arts, science and crafts to collaborate in various creative projects where they can share their knowledge and experience.
The workshop is ecologically oriented and tries to connect art and nature by encouraging people to include natural materials in their art experiments, make land art and study natural influences. There are also discussions about the specifics of the environment in the Notranjska region led by Matej KržiÄ and JoÅ¡t StergarÅ¡ek.
The name of the workshop Vajkard was chosen in honour of Janez Vajkard Valvasor, the Slovene polymath of the 17th century. His dedication to nature and precise methods of exploration are to be followed by the participants of the workshop.
Programme
An important part of the programme is the acclimatisation which refers to the first few days of the workshop which are dedicated to setting the camp, exploring the surroundings and getting to know everyone. Following, the workshop offers opportunities to learn different techniques of artistic expression such as painting, illustration, drawing, sculpture, or pottery. Along with a kiln, the workshop is equipped with lithography, woodcut and linocut tools as well as a darkroom.
Self-initiative is very much encouraged and the participants are free to explore other techniques and ask for advice when needed. Everyone can create freely or listen to the introduction about a certain technique, such as the one for botanical illustration presented by Marija Nabernik. Every day ends with time for socialising, jam sessions, and singing by the fire or an evening concert.
Lectures
In the evening lectures covering the workshop’s annual theme take place. In 2011 the theme was “The Integration of Chaos into Society through the Creative Eye”. Most of the lectures are made by invited artists who present their point of view on the chosen topic or artistic approaches in general. In 2010 Oliver Vodeb presented relational art and in 2011 Alen Ožbolt had a lecture “How Today’s Artists Think and Work”. Peter KoÅ¡trun, Marija Nabernik and Antonio Rollo are regular lecturers and participants of the workshop; in addition to preparing lectures and discussions they are also happy to give individual comments and help participants to conceptually and practically develop their work.
OISTROS EDIZIONI sperimenta processi di scambio e contaminazione fra tradizione e innovazione, locale e globale, reale e virtuale, individuale e comunitario.
OISTROS EDIZIONI è una nuova tappa del lungo cammino che lo Scimpanzè ha iniziato oltre quaranta anni fa.
OISTROS EDIZIONI propone quattro collane che vogliono far riflettere sui temi e sulle esperienze che da oltre quarant’anni hanno caratterizzato il lavoro di un gruppo che ha contribuito a trasformare radicalmente il Salento:
INTEGRAZIONE iPesci
TEATRO di PARTECIPAZIONE gliInsetti
CONOSCENZA lePiante
VISONI gliUccelli
OISTROS EDIZIONI vuole essere anche strumento di promozione di tutte quelle forme di conoscenza e d’espressione che hanno un sacro rispetto della dignità degli esseri umani e della natura che li ospita.
Oistros Edizioni è il frutto della collaborazione tra Antonio Rollo, artista del computer, Alessandro Santoro, regista teatrale e Martin Petric, disegnatore e tipografo sloveno. Insieme lavorano sulla responsabilità sociale della comunicazione attraverso la diffusione di storie e ricerche in forma di libro stampato e libro digitale.
Mentre sto completando la stesura del libro “Computer Art – L’innesto dell’arte sull’albero del computer” che sarà pubblicato il prossimo aprile per OISTROS EDIZIONI, mi accorgo che la definizione di Computer Art data dalla treccani.it è incompleta!
Cito dal sito www.treccani.it
computer art Fenomeno artistico che si avvale del computer come nuovo mezzo espressivo. Sorto negli USA nei primi anni Sessanta, è legato alle trasformazioni e innovazioni prodotte nella cultura dal progresso scientifico. Due grandi mostre, la Cybernetic serendipity (1968, Londra) e la Computer art: on the eve of tomorrow (1969, itinerante dalla Germania al Giappone), hanno fatto conoscere la c.a. al grande pubblico. I grafici prodotti dal computer sono i mezzi con cui possono essere concretizzate le astrazioni delle idee programmate antecedentemente. A ogni formula algebrica corrisponde una forma grafica, permettendo di ottenere infinite variazioni.
Innanzi tutto la Computer Art non è sorta negli USA, ma come fenomeno legato all’evoluzione delle pratiche di costruzione ed uso del seminale cervello elettronico, nasce contemporaneamente in più parti del mondo già negli anni Cinquanta. George Nees è tedesco, Peter Foldes è Ungherese, Bruno Munari è Italiano, Francois Morellet è Francese, Vladimir Bonacic è Croato, Vera Molnar è Ungherese ma si trasferisce a Parigi e poi negli anni Sessanta, Steina e Woody Wasulka sono Islandesi ma si trasferiscono a NewYork, Michael Noll è Americano ma studia con il tedesco George Nees.
Le due grandi mostre “Cybernetic serendipity (1968, Londra) e la Computer art: on the eve of tomorrow (1969, itinerante dalla Germania al Giappone)” sono sicuramente due momenti fondamentali nella definizione della computer art, ma sono il risultato di un lavoro espositivo ed aggregativo iniziato nel 1961 a Zagabria in Croazia e portato avanti fino al 1973 con una mostra annuale sulle “Nuove Tendenze” (che dava il nome alla mostra in originale croato Nove Tendencije), con una pubblicazione dal nome Bit International. Il volume uscito per MIT PRESS nel marzo del 2012 con il titolo “A Little-Know Story about a Movement, a Magazine, and the Computer’s Arrival in Art: New Tendencies and Bit International, 1961-1973” racconta proprio la storia della mostra dimenticata dalla treccani.it
Con la nascita del linguaggio abbiamo sviluppato attraverso generazioni di sperimentatori, un nuovo programma scritto nel codice del dna capace di astrarre l’uso degli strumenti per costruire altri strumenti e di ricordare come ci siamo riusciti. Nel cervello non ci sono precise aree che possiamo dire specializzate per la memoria, lo stesso vale per quelle relative ai cinque sensi, non c’è un posto preciso nel cervello in cui è registrata la faccia di un nostro amico. Viene ricordata come un reticolo di energie sinaptiche. La memoria utilizza un metodo distribuito, non lineare, di registrazione e accesso alle informazioni assimilabile ai modelli distribuiti usati per realizzare un ologramma. Il concetto di ologramma ha portato ad una spiegazione più comprensibile dei processi della mente.
Nonostante le crescenti prove che i ricordi erano distribuiti, Pribram non sapeva comunque spiegarsi come il cervello potesse compiere una prodezza [la memoria] che appariva magica. Poi, verso la metà degli anni Sessanta, un articolo letto su Scientific American che descriveva la prima costruzione di un ologramma lo colpì come un fulmine. Non solo il concetto olografico era folgorante, ma forniva inoltre una soluzione all’enigma con il quale stava lottando.1
Karl Pribran (1919), neuro chirurgo viennese, aveva osservato uno strano comportamento nei suoi pazienti dopo diverse operazioni di esportazione medica di parti del cervello: nessuno mostrava gravi perdite nell’accesso ai ricordi. Quindi la memoria doveva essere registrata nel cervello non in un’area specifica, ma in qualche modo distribuita nella rete in maniera che l’accesso non fosse gestito da una porzione di cervello ma dall’organizzazione emergente della rete stessa.
Un ologramma è un sistema che utilizza il laser, luce pura, per imprimere su una lastra fotografica speciale (ad alta risoluzione) un’immagine a tre dimensioni. Ovviamente la terza dimensione è illusoria ed esiste solo quando la guardiamo. L’altra caratteristica speciale dell’ologramma, potete provare voi stessi con quello stampato su una vecchia carta di credito, è di non essere divisibile come quando strappiamo una fotografia o una pagina, ovvero ci ritroviamo con due parti dell’intero. Piuttosto quando spezziamo a metà un’immagine olografica otteniamo due nuove immagini identiche, soltanto ad un risoluzione più bassa. La magia, scoperta dal matematico ungherese Dennis Gabor che ricevette il premio Nobel nel 1971, era l’olografia e si basa sul fenomeno fisico dell’interferenza ottica. In pratica ogni punto della lastra fotografica contiene l’informazione di tutta l’immagine. Quello che viene registrato non è l’immagine, ma le configurazioni di interferenza prodotte «quando una singola luce laser viene divisa in due raggi separati. Il primo raggio viene diretto sull’oggetto che deve essere fotografato. Poi si lascia collidere il secondo raggio con la luce riflessa del primo»2. Il risultato finale dell’immagine tridimensionale, come memoria olografica dell’oggetto, esiste solo quando noi lo guardiamo, ovvero creiamo una relazione tra la luce impressa e il nostro sistema visivo. Le informazioni registrate sulla lastra fotografica disegnano uno stagno di onde che interferiscono una sull’altra fino a stabilire uno stato di significazione della realtà . Il processo assomiglia alle onde di una pietra gettata nell’acqua di un placido laghetto. Poi se ne lancia un’altra ed un’altra ancora. Le onde che si allontano concentricamente dall’impatto tra la superficie e la pietra si accavallano a quelle della successiva formando una complessa armonia di cerchi che si toccano, si moltiplicano, si sommano e si spostano in ogni direzione. Allo stesso modo sembra che la memoria e la vista elaborano i ricordi, i sogni e le visioni.
L’intricata rete di connessioni neurali è continuamente attraversata da impulsi elettrici simili alle pietre lanciate in uno stagno e le increspature (interferenze) assumono un comportamento indipendente dalle onde che le hanno generate (ad esempio la somma delle due onde che generano l’interferenza non è la somma algebrica che conosciamo, in pratica in questo territorio ondulato 1+1 non fa 2). Un esempio di interferenza nella memoria umana è il ricordo e la sensazione reale di crampi, dolori e pruriti misteriosamente realistici in un arto amputato (illusorio), «ma forse ciò che sperimentano – questi individui – è la memoria olografica dell’arto che è ancora registrata negli schemi di interferenza dei loro cervelli»3.
Bibliografia
1 Michael Talbot , Tuttio è uno. L’ ipotesi di una scienza olografica, Corrado Leonardo, 2004, p. 200
2 Michael Talbot , Tuttio è uno. L’ ipotesi di una scienza olografica, cit., p.21
3 Michael Talbot , Tuttio è uno. L’ ipotesi di una scienza olografica, cit., p.31
4 Michael Talbot , Tuttio è uno. L’ ipotesi di una scienza olografica, cit., p.31
Each year, Memefest singles out a text and/or image that serves as a focal point for a critical take on the current media and communication environment. In order to enable a creative approach based on interdisciplinary, practical and theoretical perspective, you are able to participate in different categories.
The friendly competition has three main divisions: Visual communication practice, Critical writing and Beyond. It is open to anyone who wants to participate. Any artist, activist, writer, designer, malcontent, educator or media manipulator can enter. There is no age restriction. The only limit is your creativity and imagination.
In order to get the best possible in-depth understanding of your work, we will categorize all submissions in two fields: Student/Academic and Non-academic.
Per colmare il vuoto dell’esistenza metropolitana milioni di persone connesse alla rete hanno aperto i flussi di relazione con la realtà sulla grande rete collettiva e globale attraverso foto, video, parole, riflessioni, vita privata e vita pubblica. Si passa il tempo a rispondere a tutti con qualcosa, seguire il flusso dei propri interessi intercettato sui canali della vita digitale. Un modo per non pensare, ovvero pensare il non pensiero codificato nell’interfaccia amichevole capace di trattenere il mio corpo e allargare il mio spazio di relazione. Un esercizio zen che la mente chiede per soddisfare il desiderio infantile di curiosità , scoperta e sogno. Le persone che incontri nei viaggi online, se non sono ancora nella tua rete, basta un click per farle entrare nel flusso, quelle che hanno già una vita digitale il solo nominarle – taggarle – diventa codice relazionale per i motori di ricerca in grado di scandagliare in pochi secondi la sconfinata memoria digitale dei data base registrati sugli hard disk dei milioni di computer collegati ad internet. Non c’è più confine tra pubblico e privato, tra vita e lavoro, tra vita reale e vita digitale. Anzi, la vita digitale amplifica la percezione della relazione, che da stabile diventa dinamica. Si dice che siamo tra amici. La relazione digitale è equidistante, non permette gerarchie empatiche. Siamo tutti lontani al massimo tre click. Entrando a far parte di un gruppo sociale digitale, la dimensione stessa di amicizia è trasformata dalle proprietà della rete. L’amicizia è istantanea, sempre connessa e selezionabile liberamente. Oggi sei un mio amico, domani non solo non lo sei più, ma ti cancello dalla mia memoria.
L’idea di profilo, di avatar, non è più statica. Non è legata ad una definizione curriculare, ma è basata su quello che stai facendo in questo momento. Pubblicarsi continuamente definisce il profilo, e più alta è la sua posizione sui motori di ricerca e più sembra di stare bene e provare piacere nel mondo reale dello schermo sempre più piatto. Viviamo, spesso senza essere coscienti una vera e propria psichedelia collettiva. Il nostro cervello stimolato dallo schermo interattivo costruisce quotidianamente il viaggio endorfinico degli stimoli sociali digitali. Più tempo dedichiamo al nostro profilo sullo schermo, più crediamo di essere importanti nella comunità . Il tempo dedicato al profilo digitale è spesso senza ricompensa, sfugge ed opacizza le mura del luogo vero dove vive la persona fisica, con il corpo inascoltato e desideroso di legami non digitali.
I primati non umani esprimono i loro legami reciproci attraverso il rituale del grooming: maggiore è la quantità di tempo dedicata alla cerimonia di mutua pulizia, più forte risulta essere la relazione. Con l’ampliarsi dei gruppi, ogni individuo, maschio o femmina che sia, dovrà investire più tempo nel grooming al fine di gestire l’accresciuto numero di relazioni sociali che deve mantenere. Il grooming ha il potere di creare e consolidare i legami sociali, con ogni probabilità , esso stimola il rilascio nel cervello di sostante chimiche chiamate endorfine, le quali apportano una sensazione di benessere e piacere.
L’agenda è il grooming digitale degli esseri umani contemporanei, ci sono appuntamenti importanti, meno importanti, di routine, straordinari, insomma sono operazioni taggabili e istantaneamente condivisibili online. Gli eventi della vita lavorativa, quindi se resi pubblici sulla rete hanno una buona probabilità di cavalcare una delle creste del momento. Infatti il lavoro digitale è spesso condito di lavoro per il mantenimento del profilo online che ci ricompensa con scariche di bit in forma di endorfine. Nel world wide web tutto è adesso. Il presente fluisce e fallisce. L’adesso in real time è scandito dalla vita comunicata in immagini e parole di milioni di persone che si specchiano negli schermi interattivi collegati alla rete. Persone lontane con il corpo ma vicine con la mente.
Il villaggio globale presagito da McLuhan si è compiuto dopo l’11 settembre soprattutto nella realizzazione di un modello condiviso di linguaggio di comunicazione e gestione della società civile. Le parole del mondo nuovo della comunicazione derivano dalle parole della guerra: target, focus on, agenda, strategy, brain storming, think thank. Parole che sono entrate nel nostro vocabolario neurale, come un virus che turba la vita di una tranquilla colonia di batteri. Queste parole hanno combattuto con le parole della poesia o dei dialetti, ed hanno vinto agevolmente perchè la parola guerra è un meme molto energetico. Agisce sulle zone del cervello che controllano gli istinti alla sopravvivenza e regolano l’attrazione sessuale. All’inizio degli anni novanta, quando ancora non era stato inventato il world wide web, l’unica risposta al cosa stai facendo adesso sarebbe stata sicuramente: siamo in guerra! L’attacco alle torri gemelle (2001) vissuto in telepresenza ha lasciato alle nuove generazioni un mondo digitale da ricostruire, post-bellico. Ma dopo ogni guerra c’è un boom figlio della voglia di continuare a sperare in un mondo migliore. La rinascita post 9.11 è stata la scoperta del secondo web. Ovvero tutte le applicazioni scritte in meno di un decennio per la comunicazione online attraverso la tecnologia del world wide web potevano già permettere a chiunque di pubblicarsi sulla rete e condividere quello che stava facendo, se lo sapeva fare e conosceva i codici di rappresentazione comprensibili dalle macchine in rete (server/client). Nel 2004 Tim O’Really in una conferenza istantaneamente storica annuncia il secondo web nominandolo Web 2.0, proprio come la nuova versione di una precedente applicazione software. Quale il web è, e rimane, anche se gli effetti sulla conoscenza e coscienza degli umani sono stati talmente inaspettati per le generazioni del vecchio web che non si capisce come mai non ci si aveva pensato prima. Effettivamente prima del 2001 non c’era bisogno del web 2.0. Le relazioni sociali in buona parte dell’Europa si svolgevano ancora in piazza per i più anziani, a scuola per i ragazzini e al lavoro per gli adulti. L’unico schermo comune era il televisore. Un televisore sempre più grande ed invadente. I flussi di informazione sempre più precari e visivamente poco suadenti viaggiano in forma monodirezionale dalla televisione alla persona. Il senso di controllo del telecomando è illusorio e foriero di isolamento mentale. Lo schermo interattivo è arrivato nelle case della gente come una sorta di liberazione dal potere rimbecillente della televisione.
La rete al tempo del web 2.0 non è più un villaggio globale (McLuhan, 1969) ma una enorme città globale, con la dimensione economica e sociale radicalmente diversa rispetto alle regole di convivenza e sopravvivenza del piccolo villaggio dell’internet prima del primo web.
Le tecnologie della rete sono edifici abitati dal tempo di collegamento di milioni di persone incanalate attraverso lo schermo del computer in flussi di interesse, visibili in roteanti nuvole di parole chiave – tag – ed accessibili attraverso la freccia puntata su un hyperlink. L’accesso istantaneo alle informazioni che chiunque può liberamente classificare secondo la descrizione di una propria passione (folksonomy) ricompensa l’utente con una buona possibilità di incontrare altre persone con gli stessi interessi, visto che non ha più tempo di andare in piazza, o la piazza non esiste perchè abita in una metropoli.
Il web 2.0 è stato scoperto come l’America da Cristoforo Colombo, il continente era già tutto lì, bastava andare a sbatterci la testa.
dalle ore 9,30 alle ore 10,30 – Aula E2 – Accademia di Belle Arti di Lecce
Antonio Rollo presenta la lezione “Una storia d’amore e di conflitti“, un racconto per immagini ispirato dal centenario della nascita di Alan Turing (1912 – 2012)
Sto finendo di scrivere il libro – La magia del computer – che mette in relazione l’arte di programmare il computer e lo svelamento di alcuni degli algoritmi – codici – più importanti della storia della computer art . In conclusione lancio il prossimo libro – Ambienti sensibili – orientato allo sviluppo di ambienti multisensoriali per persone con disabilità mentali e fisiche.
Introduzione
Programmare è come cucinare. L’arte della cucina richiede fantasia, inventiva, creatività ed intelligenza per immaginare nuovi sapori, conoscere nuovi ingredienti, imparare nuovi procedimenti e servire per sè e per gli altri piatti squisiti. La novità richiede pratica e volontà nel superare difficoltà e fallimenti. Ci vuole un niente per bruciare una semplice frittata o confondere il sale per lo zucchero e rovinare un dolce. La programmazione, l’arte di scrivere codice comprensibile ed elaborabile dal cervello elettronico, permette di servire per sè e per gli altri prelibati programmi (software) che quando vengono cotti a puntino regalano grandi soddisfazioni e piacere.
Lo studente italiano di materie artistiche, nei confronti del software, è come l’utente di un fast food, mangia piatti tutti uguali e non ha assolutamente accesso in cucina. Oggi la cucina del software non è racchiusa tra mura ma distribuita su internet. Le comunità di nuovi programmatori nate dopo la maturità “personale†del computer, avvenuta verso la fine degli anni ottanta ed esplosa grazie alla facilità di pubblicazione del world wide web, hanno iniziato a condividere frammenti di codice capaci di far funzionare un computer e di riportare in forma logica i problemi della vita reale in rapporto allo schermo interattivo. I problemi espressi in forma logica assomigliano alle ricette segrete dei grandi cuochi ed hanno un grande fascino quando ne assaporiamo il risultato finale. Spesso un piatto realizzato da un cuoco di fama ha costi elevati, così come alcuni programmi di comune utilizzo quali Adobe Photoshop e Adobe Flash. Lo spirito del computer ha diviso il mondo digitale in processi viziosi come quelli instaurati dalla chiusura del codice (Microsoft, Apple, Adobe, ecc..) e in processi virtuosi come quelli dell’apertura del codice (Linux, GLP, ecc..). Il codice libero, spesso inteso come codice gratuito, è una filosofia che si avvicina all’idea di libertà di parola, piuttosto che alla libertà di non pagare al ristorante.
Per cucinare un buon programma è fondamentale conoscere gli ingredienti e l’ambiente in cui operare. La materia prima di un programma è il numero, nella sua forma pura di misura del mondo. Un numero, ad esempio il 10, può indicare tutte le misure che conosciamo sia del mondo reale (metri, litri, atmosfere, gradi, velocità ) sia del mondo digitale (byte, pixel, frames al secondo) senza modificare la natura del numero 10. In realtà la nostra capacità di astrazione porta alcuni numeri ad avere significati metaforici (il numero dieci fa pensare ad un attaccante, oppure ad voto più alto). Il computer vive grazie alla sua capacità di interpretare soltanto due numeri: lo zero e l’uno. Le sequenze di zero ed uno formano parole in codice che il computer elabora nel suo cervello elettronico attraverso il controllo dei dati in ingresso, un’elaborazione algebrica su questi numeri e infine il risultato che viene salvato in memoria. La memoria di un computer è come un’enorme libreria di cui ne vediamo l’eticchetta ed attraverso di questa accediamo al suo contenuto. Il modo in cui i dati vengono elaborati dal computer apre all’universo della logica e della matematica applicata che ha visto personaggi come Wiener, Turing e Von Neuman scrivere la storia della più grande sfida dell’uomo lanciata alla comprensione e codifica della propria stessa intelligenza.
Quando si entra nella cucina di un artista digitale non è richiesto di conoscere come costruire la cucina stessa, ma è fondamentale comprendere la sua struttura, le sue funzionalità e iniziare a interpretare in maniera personale i problemi che una particolare ricetta richiede. C’è un detto popolare salentino che recita “l’ecchiu rrubba†– l’occhio carpisce i segreti – ed è spesso usato dalle madri per trasmettere ai figli la conoscenza della preparazione di un piatto. Come in ogni cucina che si rispetti riusciamo a leggere la geografia e la storia di un territorio. Le ricette, gli ingredienti e i procedimenti sono lo specchio della cultura di una terra. I migliori cuochi del salento sono ancora gli stessi contadini che conoscono non solo l’arte di cucinare i cibi, ma possiedono anche i segreti per farli crescere e riprodurre. Una semplice frittata nasconde dietro il profumo intenso dell’uovo cotto nell’olio bollente un’aia con le galline che scambettano alla ricerca di qualche chicco di grano o di qualche pietrolina per immagazzinare calcare. Nell’odore acre dell’uovo sbattuto c’è tutta la pazienza del pulire l’aia, di accudire un’uliveto, di raccogliere le olive e di aspettare il prelibato frutto della sperimutura. Oggi compriamo tutti gli ingredienti al supermercato e in cambio di denaro lasciamo che la nostra intelligenza possa essere utilizzata per cercare nuove ricette, sulla base della nostra curiosità e capacità di inventare. La conoscenza dei processi di elaborazione del computer sono proprio i segreti nascosti dietro lo schermo e oggi possiamo comprare il computer al supermercato, proprio come le uova e l’olio.
Per uno studente di un’Accademia italiana comprare un computer significa emulare il proprio compagno, collegarsi a internet per godere della pubblica piazza espressa dal web 2.0 e per dannarsi nella scrittura della tesi. Soltanto in casi molto rari viene spiegata la magia del computer e la possibilità di utilizzare il cervello elettronico come strumento intelligente a servizio dei problemi dell’arte.
Il parallelo con il cibo preconfezionato può continuare se pensiamo alle tante applicazioni che permettono di scaldare un’idea preconfezionata e servire a sè ed agli altri qualcosa di cui non si conosce l’essenza. Vengono alla mente le vignette di Mafalda che odiava la solita minestra servita da una madre vittima della rivoluzione consumistica. La maggior parte delle applicazioni continuano ad alimentare una fantasia ricombinante che non porta all’inventiva ed all’immaginazione, ma piuttosto impone standard visivi e modalità di interazione che limitano la creatività dell’artista.
I pionieri della Computer Art erano matematici, fisici e scienziati che avevano intravisto nei nuovi schermi collegati al cervello elettronico di metà novecento un modo per esplorare e raccontare le proprie storie e visioni digitali. Da allora ci sono in giro per il pianeta festival, rassegne e centri di ricerca in cui arte e scienza producono una narrazione digitale in cui lo spettatore diventa parte attiva e interattiva della storia. La letteratura sulle origini e sviluppi del computer è trabordante di testi e manuali, riviste e pubblicazioni periodiche che rimangono nella quasi totalità in lingua inglese.
La magia del computer spiegata in cucina è un tentativo di avvicinare la scienza del calcolo digitale alle forme di espressione artistica contemporanea, dove l’indagine del rapporto Uomo-Macchina ha portato sin dagli albori ad una fiorente arte che racconta i cambiamenti in corso.
L’universo aperto dall’arte con il computer ha una struttura multidimensione in cui la natura procedurale, partecipatoria, spaziale ed enciclopedica del computer si interseca con l’immaginazione dell’artista. L’apparato cognitivo è immerso in una dimensione di stimoli multi sensoriali che interferiscono con i reticoli (pattern) della visione, dell’ascolto e del tatto attraverso l’interazione con lo schermo, la tastiera, il mouse e tutte le periferiche di input ed output che sono state inventate per rendere il computer prossimo all’uomo. Certo, il computer non è in grado di innamorarsi o provare piacere per una frittata che profuma di menta fresca, ma riesce ad elaborare una quantità di dati talmente elevata che inizia ad avvicinarsi a quello necessario alla mente umana per processare emozioni intense come l’amore o il gusto. Gli scienziati stanno scommettendo sul momento in cui la macchina sarà in grado di vivere da sola nel mondo. Credo che per arrivare a questo il computer ha bisogno ancora di diverse generazioni di programmatori.
Il segno digitale rispetto alla staticità della carta e della fotografia e la dinamicità del cinema e del video, aggiunge un comportamento nuovo all’immagine che è interattiva per natura. L’immagine interattiva incorpora la bellezza del segno e la multi dimensionalità delle nuove cornici, per liberare una forma in cui il contenuto può rispondere attivamente alle azioni dell’utente o dello spettatore.
La scrittura di codice permette allo studente di utilizzare con coscienza entrambi gli emisferi cerebrali. La parte destra del cervello, per natura, inter-agisce nel processo di visualizzazione di un’idea (immaginare e sentire il profumo di una fittata alla menta), mentre la parte sinistra si preoccupa soprattutto di intervenire quando ci sono da risolvere problematiche complesse (seguire un preciso procedimento che dagli ingredienti di base porta al piatto finale), come quelle relative alla programmazione ed elaborazione di immagini sintetiche con un computer.
Lo studente che si avvicina alla programmazione del computer si trova di fronte ad un processo creativo percepito come nuovo e stimolante, dove la comprensione e utilizzo del computer diventa la mappa dove orientare le proprie visioni e meglio interpretare la quotidianità della società mediocratica in cui si trova ad essere un artista. La società in cui viviamo è il risultato di un continuo movimento entropico verso equilibri che non sono più statici, come la carta, ma dinamici come lo schermo sbrillucicante del computer.
Questo libro è scritto come un manuale di ricette in cui è fondamentale la pratica per apprendere i procedimenti. La cottura di un codice avviente nel fuoco digitale degli schermi interattivi che qui sono rivoltati dal fuori verso l’interno per scoprire lo spirito del computer.
Indice del Libro – La magia del computer
Parte Prima
L’arte di programmare il computer
Capitolo 1. Programmare è come cucinare
Capitolo 2. Flash ActionScript
Capitolo 3. La programmazione funzionale
Capitolo 6. I sensori della macchina
Capitolo 7. Sensibile al corpo
Capitolo 8. Croma Key e Motion Tracking
Capitolo 9. La terza e la quarta dimensione dello schermo
Lo sguardo da sopra i tetti della città .
Un ricordo del passato salentino
con le parole di Rina Durante,
cantate da Daniele Durante,
la musica di Eric Satie
e il senso di responsabiltÃ
della società verso le parole.
But tell me, by Jupiter, what part of man’s life is that that is not sad, crabbed, unpleasant, insipid, troublesome, unless it be seasoned with pleasure, that is to say, folly? For the proof of which the never sufficiently praised Sophocles in that his happy elegy of us, “To know nothing is the only happiness,” might be authority enough, but that I intend to take every particular by itself.
Chaos is the inner state of Nature. Chaos is a phenomena that we can imagines, we can describes formally under math formulas and we can figure it out as the end of certainty into the arrow of time. Chaos come from the alchemical research on the basics of lifeforms, the ancient enigma of life and the unpredictable activity of humans beans. Nature do not think chaos. Nature use chaos to interact with all hidden forces that are untied by the gravity.
Evolution of man can be seen as a manifestation of the chaotic recombination of gene’s sequences. The ability of human mind to think ans see chaos is the result of the interaction between the new form of human brain and the surrounding of the body that works as a multi sensorial interface with the environment and other human beings.
Chaos is related to an essential element of randomness that appear into the symbolic system of numbers, the beuty of flowers, the movement of atoms and the forces of universe. Ilya Prigogine in “The end of certainty†say that “we need not only laws, but also events that bring an element of radical novelty to the description of natureâ€, a new kind of kwowledge that lets human beings to face the unpredictable future dominated by communication technologies, money systems unable to think environmental sustainability and a flow of recombinant cultures emerging by the end of micro civilization all over the world.
The roots of chaos are disseminated in every culture in the planet Earth as the “the void at the beginning of creationâ€, an idea that brings into the mind confusion and disorder. In the Hopi language, an ancient american’s indians civilization, there is the world Koyanisquatzi, that means life out of balance, letting us to think to the moment we are living in. Communication technologies has filled the void at the beginning of creation with a perpetual present, speeding the meme of selfishness at every level of society whit the consequences of a proximal future where the human race is severely under the pressure of survival. Chaos is a natural state of mind for fullish human being. This folly gives alternative images of reality and bring to an higher understanding of life. Art, design, technologies and communication’s systems are the unpredictable phenomena of the human mind acting on the recombination of reality with human ideas.
References books and movies
[1] The end of centainty, Ilya Prigogine
[2] Koyanisquatzi, Godfrey Reggio
Ho piacere di comunicarVi che il 9 giugno p.v. dalle ore 9,45 l’Accademia di Lecce riceverà la visita dei professori Miguel Ãngel Guillem Romeu e Blanca Rosa Pastor Cubillo, provenienti dall’Università Politecnica di Valencia (Spagna).
I docenti presenteranno i lavori prodotti nella facoltà di Belles Artes nel corso del Seminario “Arte dell’animazione e libro d’artistaâ€.
L’evento sarà accompagnato dall’esposizione di alcuni libri d’artista realizzati da studenti che hanno seguito i corsi di Xilografia, Analisi del linguaggio grafico e Tecniche dell’Incisione, curati dalla Prof. G. Tagliente negli ultimi anni.
Napolitano: «La violenza sulle donne è un’emergenza su scala mondiale» Matrimoni forzati, mutilazioni genitali, stupri: gli ultimi dati valutano oltre 140 milioni di casi