Grooming digitale
Per colmare il vuoto dell’esistenza metropolitana milioni di persone connesse alla rete hanno aperto i flussi di relazione con la realtà sulla grande rete collettiva e globale attraverso foto, video, parole, riflessioni, vita privata e vita pubblica. Si passa il tempo a rispondere a tutti con qualcosa, seguire il flusso dei propri interessi intercettato sui canali della vita digitale. Un modo per non pensare, ovvero pensare il non pensiero codificato nell’interfaccia amichevole capace di trattenere il mio corpo e allargare il mio spazio di relazione. Un esercizio zen che la mente chiede per soddisfare il desiderio infantile di curiosità , scoperta e sogno. Le persone che incontri nei viaggi online, se non sono ancora nella tua rete, basta un click per farle entrare nel flusso, quelle che hanno già una vita digitale il solo nominarle – taggarle – diventa codice relazionale per i motori di ricerca in grado di scandagliare in pochi secondi la sconfinata memoria digitale dei data base registrati sugli hard disk dei milioni di computer collegati ad internet. Non c’è più confine tra pubblico e privato, tra vita e lavoro, tra vita reale e vita digitale. Anzi, la vita digitale amplifica la percezione della relazione, che da stabile diventa dinamica. Si dice che siamo tra amici. La relazione digitale è equidistante, non permette gerarchie empatiche. Siamo tutti lontani al massimo tre click. Entrando a far parte di un gruppo sociale digitale, la dimensione stessa di amicizia è trasformata dalle proprietà della rete. L’amicizia è istantanea, sempre connessa e selezionabile liberamente. Oggi sei un mio amico, domani non solo non lo sei più, ma ti cancello dalla mia memoria.
L’idea di profilo, di avatar, non è più statica. Non è legata ad una definizione curriculare, ma è basata su quello che stai facendo in questo momento. Pubblicarsi continuamente definisce il profilo, e più alta è la sua posizione sui motori di ricerca e più sembra di stare bene e provare piacere nel mondo reale dello schermo sempre più piatto. Viviamo, spesso senza essere coscienti una vera e propria psichedelia collettiva. Il nostro cervello stimolato dallo schermo interattivo costruisce quotidianamente il viaggio endorfinico degli stimoli sociali digitali. Più tempo dedichiamo al nostro profilo sullo schermo, più crediamo di essere importanti nella comunità . Il tempo dedicato al profilo digitale è spesso senza ricompensa, sfugge ed opacizza le mura del luogo vero dove vive la persona fisica, con il corpo inascoltato e desideroso di legami non digitali.
I primati non umani esprimono i loro legami reciproci attraverso il rituale del grooming: maggiore è la quantità di tempo dedicata alla cerimonia di mutua pulizia, più forte risulta essere la relazione. Con l’ampliarsi dei gruppi, ogni individuo, maschio o femmina che sia, dovrà investire più tempo nel grooming al fine di gestire l’accresciuto numero di relazioni sociali che deve mantenere. Il grooming ha il potere di creare e consolidare i legami sociali, con ogni probabilità , esso stimola il rilascio nel cervello di sostante chimiche chiamate endorfine, le quali apportano una sensazione di benessere e piacere.
L’agenda è il grooming digitale degli esseri umani contemporanei, ci sono appuntamenti importanti, meno importanti, di routine, straordinari, insomma sono operazioni taggabili e istantaneamente condivisibili online. Gli eventi della vita lavorativa, quindi se resi pubblici sulla rete hanno una buona probabilità di cavalcare una delle creste del momento. Infatti il lavoro digitale è spesso condito di lavoro per il mantenimento del profilo online che ci ricompensa con scariche di bit in forma di endorfine. Nel world wide web tutto è adesso. Il presente fluisce e fallisce. L’adesso in real time è scandito dalla vita comunicata in immagini e parole di milioni di persone che si specchiano negli schermi interattivi collegati alla rete. Persone lontane con il corpo ma vicine con la mente.
Il villaggio globale presagito da McLuhan si è compiuto dopo l’11 settembre soprattutto nella realizzazione di un modello condiviso di linguaggio di comunicazione e gestione della società civile. Le parole del mondo nuovo della comunicazione derivano dalle parole della guerra: target, focus on, agenda, strategy, brain storming, think thank. Parole che sono entrate nel nostro vocabolario neurale, come un virus che turba la vita di una tranquilla colonia di batteri. Queste parole hanno combattuto con le parole della poesia o dei dialetti, ed hanno vinto agevolmente perchè la parola guerra è un meme molto energetico. Agisce sulle zone del cervello che controllano gli istinti alla sopravvivenza e regolano l’attrazione sessuale. All’inizio degli anni novanta, quando ancora non era stato inventato il world wide web, l’unica risposta al cosa stai facendo adesso sarebbe stata sicuramente: siamo in guerra! L’attacco alle torri gemelle (2001) vissuto in telepresenza ha lasciato alle nuove generazioni un mondo digitale da ricostruire, post-bellico. Ma dopo ogni guerra c’è un boom figlio della voglia di continuare a sperare in un mondo migliore. La rinascita post 9.11 è stata la scoperta del secondo web. Ovvero tutte le applicazioni scritte in meno di un decennio per la comunicazione online attraverso la tecnologia del world wide web potevano già permettere a chiunque di pubblicarsi sulla rete e condividere quello che stava facendo, se lo sapeva fare e conosceva i codici di rappresentazione comprensibili dalle macchine in rete (server/client). Nel 2004 Tim O’Really in una conferenza istantaneamente storica annuncia il secondo web nominandolo Web 2.0, proprio come la nuova versione di una precedente applicazione software. Quale il web è, e rimane, anche se gli effetti sulla conoscenza e coscienza degli umani sono stati talmente inaspettati per le generazioni del vecchio web che non si capisce come mai non ci si aveva pensato prima. Effettivamente prima del 2001 non c’era bisogno del web 2.0. Le relazioni sociali in buona parte dell’Europa si svolgevano ancora in piazza per i più anziani, a scuola per i ragazzini e al lavoro per gli adulti. L’unico schermo comune era il televisore. Un televisore sempre più grande ed invadente. I flussi di informazione sempre più precari e visivamente poco suadenti viaggiano in forma monodirezionale dalla televisione alla persona. Il senso di controllo del telecomando è illusorio e foriero di isolamento mentale. Lo schermo interattivo è arrivato nelle case della gente come una sorta di liberazione dal potere rimbecillente della televisione.
La rete al tempo del web 2.0 non è più un villaggio globale (McLuhan, 1969) ma una enorme città globale, con la dimensione economica e sociale radicalmente diversa rispetto alle regole di convivenza e sopravvivenza del piccolo villaggio dell’internet prima del primo web.
Le tecnologie della rete sono edifici abitati dal tempo di collegamento di milioni di persone incanalate attraverso lo schermo del computer in flussi di interesse, visibili in roteanti nuvole di parole chiave – tag – ed accessibili attraverso la freccia puntata su un hyperlink. L’accesso istantaneo alle informazioni che chiunque può liberamente classificare secondo la descrizione di una propria passione (folksonomy) ricompensa l’utente con una buona possibilità di incontrare altre persone con gli stessi interessi, visto che non ha più tempo di andare in piazza, o la piazza non esiste perchè abita in una metropoli.
Il web 2.0 è stato scoperto come l’America da Cristoforo Colombo, il continente era già tutto lì, bastava andare a sbatterci la testa.